domenica 24 aprile 2011

Blu notte - Storia della Ndrangheta

Blu Notte - La Storia delle Brigate Rosse

Parte I





Parte II

Blu Notte - La strage di Piazza Fontana

Blu Notte - Il Caso Pierpaolo Pasolini

Blu Notte - Il Caso Gioia Tauro

L’ultima intervista del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Di Giorgio Bocca, da La Repubblica del 10 agosto 1982
 

"Come combatto contro la mafia"


PALERMO - La Mafia non fa vacanza, macina ogni giorno i suoi delitti; tre morti ammazzati giovedì 5 fra Bagheria, Casteldaccia e Altavilla Milicia, altri tre venerdì, un morto e un sequestrato sabato, ancora un omicidio domenica notte, sempre lì, alle porte di Palermo, mondo arcaico e feroce che ignora la Sicilia degli svaghi, del turismo internazionale, del "wind surf" nel mare azzurro di Mondello. Ma è soprattutto il modo che offende, il "segno" che esso dà al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e allo Stato: i killer girano su potenti motociclette, sparano nel centro degli abitati, uccidono come gli pare, a distanza di dieci minuti da un delitto all'altro.

Dalla Chiesa è nero: "Da oggi la zona sarà presidiata, manu militari. Non spero certo di catturare gli assassini ad un posto di blocco, ma la presenza dello Stato deve essere visibile, l'arroganza mafiosa deve cessare".


Che arroganza generale?

"A un giornalista devo dirlo? Uccidono in pieno giorno, trasportano i cadaveri, li mutilano, ce li posano fra questura e Regione, li bruciano alle tre del pomeriggio in una strada centrale di Palermo".

Questo Dalla Chiesa in doppio petto blu prefettizio vive con un certo disagio la sua trasformazione: dai bunker catafratti di Via Moscova, in Milano, guardati da carabinieri in armi, a questa villa Wittaker, un po' lasciata andare, un po' leziosa, fra alberi profumati, poliziotti assonnati, un vecchio segretario che arriva con le tazzine del caffè e sorride come a dire: ne ho visti io di prefetti che dovevano sconfiggere la Mafia.


Generale, vorrei farle una domanda pesante. Lei è qui per amore o per
forza? Questa quasi impossibile scommessa contro la Mafia è sua o di
qualcuno altro che vorrebbe bruciarla? Lei cosa è veramente, un
proconsole o un prefetto nei guai?

"Beh, sono di certo nella storia italiana il primo generale dei carabinieri che ha detto chiaro e netto al governo: una prefettura come prefettura, anche se di prima classe, non mi interessa. Mi interessa la lotta contro la Mafia, mi possono interessare i mezzi e i poteri per vincerla nell'interesse dello Stato".


Credevo che il governo si fosse impegnato, se ricordo bene il Consiglio dei Ministri del 2 aprile scorso ha deciso che lei deve "coordinare sia sul piano nazionale che su quello locale" la lotta alla Mafia.

"Non mi risulta che questi impegni siano stati ancora codificati".


Vediamo un po' generale, lei forse vuol dirmi che stando alla legge il potere di un prefetto è identico a quello di un altro prefetto ed è la stessa cosa di quello di un questore. Ma è implicito che lei sia il sovrintendente, il coordinatore.

"Preferirei l'esplicito".


Se non ottiene l'investitura formale che farà? Rinuncerà alla missione?

"Vedremo a settembre. Sono venuto qui per dirigere la lotta alla Mafia, non per discutere di competenze e di precedenze. Ma non mi faccia dire di più".


No, parliamone, queste faccende all'italiana vanno chiarite. Lei cosa chiede? Una sorta di dittatura antimafia? I poteri speciali del prefetto Mori?

"Non chiedo leggi speciali, chiedo chiarezza. Mio padre al tempo di Mori comandava i carabinieri di Agrigento. Mori poteva servirsi di lui ad Agrigento e di altri a Trapani a Enna o anche Messina, dove occorresse. Chiunque pensasse di combattere la Mafia nel "pascolo" palermitano e non nel resto d'Italia non farebbe che perdere tempo".


Lei cosa chiede? L'autonomia e l'ubiquità di cui ha potuto disporre nella lotta al terrorismo?

"Ho idee chiare, ma capirà che non è il caso di parlarne in pubblico. Le dico solo che le ho già, e da tempo, convenientemente illustrate nella sede competente. Spero che si concretizzino al più presto. Altrimenti non si potranno attendere sviluppi positivi".


Ritorna con la Mafia il modulo antiterrorista? Nuclei fidati, coordinati in tutte le città calde?

Il generale fa un gesto con la mano, come a dire, non insista, disciplina
giovinetto: questo singolare personaggio scaltro e ingenuo, maestro di
diplomazie italiane ma con squarci di candori risorgimentali. Difficile da capire.


Generale, noi ci siamo conosciuti qui negli anni di Corleone e di Liggio, lei è stato qui fra il '66 e il '73 in funzione antimafia, il giovane ufficiale nordista de "Il giorno della civetta". Che cosa ha capito allora della Mafia e che cosa capisce oggi, 1982?

"Allora ho capito una cosa, soprattutto: che l'istituto del soggiorno obbligatorio era un boomerang, qualcosa superato dalla rivoluzione tecnologica, dalle informazioni, dai trasporti. Ricordo che i miei corleonesi, i Liggio, i Collura, i Criscione si sono tutti ritrovati stranamente a Venaria Reale, alle porte di Torino, a brevissima distanza da Liggio con il quale erano stati da me denunziati a Corleone per più omicidi nel 1949. Chiedevo notizie sul loro conto e mi veniva risposto: " Brave persone". Non disturbano. Firmano regolarmente.
Nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti qui a Palermo o che tenevano ufficio a Milano o, chi sa, erano stati a Londra o a Parigi".


E oggi ?

"Oggi mi colpisce il policentrismo della Mafia, anche in Sicilia, e questa è davvero una svolta storica. E' finita la Mafia geograficamente definita della Sicilia occidentale. Oggi la Mafia è forte anche a Catania, anzi da Catania viene alla conquista di Palermo. Con il consenso della Mafia palermitana, le quattro maggiori imprese edili catanesi oggi lavorano a Palermo. Lei crede che potrebbero farlo se dietro non ci fosse una nuova mappa del potere mafioso?"


Scusi la curiosità, generale. Ma quel Ferlito mafioso, ucciso nell'agguato sull'autostrada, si quando ammazzarono anche i carabinieri di scorta, non era il cugino dell'assessore ai lavori pubblici di Catania?

"Si ".


E come andiamo generale, con i piani regolatori delle grandi città? E' vero che sono sempre nel cassetto dell'assessore al territorio e all'ambiente?

"Così mi viene denunziato dai sindaci costretti da anni a tollerare l'abusivismo".


IL CASO MATTARELLA

Senta generale, lei ed io abbiamo la stessa età e abbiamo visto, sia pure da ottiche diverse, le stesse vicende italiane, alcune prevedibili, altre assolutamente no. Per esempio che il figlio di Bernardo Mattarella venisse ucciso dalla Mafia. Mattarella junior è stato riempito di piombo mafioso. Cosa è successo, generale?

"E' accaduto questo: che il figlio, certamente consapevole di qualche ombra avanzata nei confronti del padre, tutto ha fatto perché la sua attività politica e l'impegno del suo lavoro come pubblico amministratore fossero esenti da qualsiasi riserva. E quando lui ha dato chiara dimostrazione di questo suo intento, ha trovato il piombo della Mafia. Ho fatto ricerche su questo fatto nuovo: la Mafia che uccide i potenti, che alza il mirino ai signori del "palazzo". Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato".


Mi spieghi meglio.

"Il caso di Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi. Forse aveva intuito che qualche potere locale tendeva a prevaricare la linearità dell'amministrazione. Anche nella DC aveva più di un nemico. Ma l'esempio più chiaro è quello del procuratore Costa, che potrebbe essere la copia conforme del caso Coco".


Lei dice che fra filosofia mafiosa e filosofia brigatista esistono affinità elettive?

"Direi di si. Costa diventa troppo pericoloso quando decide, contro la maggioranza della procura, di rinviare a giudizio gli Inzerillo e gli Spatola. Ma è isolato, dunque può essere ucciso, cancellato come un corpo estraneo. Così è stato per Coco: magistratura, opinione pubblica e anche voi garantisti eravate favorevoli al cambio fra Sossi e quelli della XXII ottobre. Coco disse no. E fu ammazzato".


Generale, mi sbaglio o lei ha una idea piuttosto estesa dei mandanti morali e dei complici indiretti? No, non si arrabbi, mi dica piuttosto perché fu ucciso il comunista Pio La Torre.

"Per tutta la sua vita. Ma, decisiva, per la sua ultima proposta di legge, di mettere accanto alla "associazione a delinquere" la associazione mafiosa".


Non sono la stessa cosa? Come si può perseguire una associazione mafiosa se non si hanno le prove che sia anche a delinquere?

"E' materia da definire. Magistrati, sociologi, poliziotti, giuristi sanno benissimo che cosa è l'associazione mafiosa. La definiscono per il codice e sottraggono i giudizi alle opinioni personali".


Come si vede lei generale Dalla Chiesa di fronte al padrino del "Giorno della civetta"?

"Stiamo studiandoci, muovendo le prime pedine. La Mafia è cauta, lenta, ti misura, ti ascolta, ti verifica alla lontana. Un altro non se ne accorgerebbe, ma io questo mondo lo conosco".


"ERA MEGLIO L'ANTITERRORISMO"

Mi faccia un esempio.

"Certi inviti. Un amico con cui hai avuto un rapporto di affari, di ufficio, ti dice, come per combinazione: perché non andiamo a prendere il caffè dai tali. Il nome è illustre. Se io non so che in quella casa l'eroina corre a fiumi ci vado e servo da copertura. Ma se io ci vado sapendo, è il segno che potrei avallare con la sola presenza quanto accade".


Che mondo complicato. Forse era meglio l'antiterrorismo.

"In un certo senso si, allora avevo dietro di me l'opinione pubblica, l'attenzione dell' Italia che conta. I gambizzati erano tanti e quasi tutti negli uffici alti, giornalisti, magistrati, uomini politici. Con la Mafia è diverso, salvo rare eccezioni la Mafia uccide i malavitosi, l'Italia per bene può disinteressarsene. E sbaglia".


Perché sbaglia, generale?

"La Mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali. Vede, a me interessa conoscere questa "accumulazione primitiva" del capitale mafioso, questa fase di riciclaggio del denaro sporco, queste lire rubate, estorte che architetti o grafici di chiara fama hanno trasformato in case moderne o alberghi e ristoranti a la page. Ma mi interessa ancora di più la rete mafiosa di controllo, che grazie a quelle case, a quelle imprese, a quei commerci magari passati a mani insospettabili, corrette, sta nei punti chiave, assicura i rifugi, procura le vie di riciclaggio, controlla il potere".


E deposita nelle banche coperte dal segreto bancario, no, generale?

"Il segreto bancario. La questione vera non è lì. Se ne parla da due anni e ormai i mafiosi hanno preso le loro precauzioni. E poi che segreto di Pulcinella è? Le banche sanno benissimo da anni chi sono i loro clienti mafiosi. La lotta alla Mafia non si fa nelle banche o a Bagheria o volta per volta, ma in modo globale".


Generale Dalla Chiesa, da dove nascono le sue grandissime ambizioni?

Mi guarda incuriosito.
Voglio dire, generale: questa lotta alla Mafia l'hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste, Garibaldi e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliano, l'ala socialista dell'Evis indipendente e la sinistra sindacale dei Rizzotto e dei Carnevale, la Commissione parlamentare di inchiesta e Danilo Dolci. Ma lei Carlo Alberto Dalla Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole riprovare.

"Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto definito il carattere della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".


Si va a pranzo in un ristorante della Marina con la signora Dalla Chiesa, oggetto misterioso della Palermo del potere. Milanese, giovane, bella. Mah! In apparenza non ci sono guardie, precauzioni. Il generale assicura che non c'erano neppure negli anni dell'antiterrorismo. Dice che è stata la fortuna a salvarlo le tre o quattro volte che cercarono di trasferirlo a un mondo migliore.

"Doveva uccidermi Piancone la sera che andai al convegno dei Lyons. Ma ci andai in borghese e mi vide troppo tardi. Peci, quando lo arrestai, aveva in tasca l'elenco completo di quelli che avevano firmato il necrologio per la mia prima moglie. Di tutti sapevano indirizzo, abitudini, orari. Nel caso mi fossi rifugiato da uno di loro, per precauzione. Ma io precauzioni non ne prendo. Non le ho prese neppure nei giorni in cui su "Rosso" appariva la mia faccia al centro del bersaglio da tirassegno, con il punteggio dieci, il massimo. Se non è istigazione ad uccidere questa?"


Generale, sinceramente, ma a lei i garantisti piacciono?

Dagli altri tavoli ci osservano in tralice. Quando usciamo qualcuno accenna un inchino e mormora: "Eccellenza".

sabato 23 aprile 2011

Blu Notte - Il Caso Gioia Tauro















Tritacarne - Roberto Saviano &Italo Bocchino

Riace Village: un esempio di società Civile

Questa è una storia particolare, questa è una storia diversa, da quello che siamo abituati a sentire e vedere nella nostra terra calabra, ma anche nella nostra Italia. Un esempio di buona politica, di cittadinanza attiva, di idee all'avanguardia. 

Un esempio su come si possa costruire e trarre anche un guadagno per il territorio da un problema quale l'immigrazione, di come rivalutare il territorio, di come costruire una convivenza pacifica e solidale fra gente del luogo e migranti. Prima ancora di diventare sindaco della cittadina reggina,

Domenico Lucano era un personaggio attivo sul territorio ancora prima di diventare sindaco di Riace, con l'associazione Città Futura - Don Giuseppe Puglisi, da lui stesso fondata, impegnato sin dai primi anni '90 nella solidarietà verso i migranti, che gli valse il soprannome 'Mimmo de Curdi'.

L'idea base messa appunto nel comune di Riace è quella di dare una casa ed un lavoro ai migranti, in modo da ridurre i costi di mantenimento, migliorare l'economia locale e rivalutare parti del paese oramai abbandonate. "Ai centri d'identificazione, o ex Cpt, ogni migrante costa al giorno dai 60 ai 70 euro. Qui a Riace costa 20 euro al giorno, e lavora, risollevando la nostra economia" dice lo stesso Lucano.

Il lavoro dell'associazione e di 'Mimmo dei Curdi' comincia nei primi anni '90, decisivo fu poi lo sbarco di 300 migranti nel 1998 cui lo stesso Lucano assistette. “Noi in Calabria non chiediamo mai a un ospite ‘da dove vieni’?” spiega, “eravamo impegnati  a immaginare un riscatto per questi luoghi, un ritorno al senso di identità”.

Come per tutte le altre realtà del Sud, complice l'emigrazione secolare e lo spostamento verso i centri moderni, vi è una progressivo spopolamento delle zone storiche. “La parte storica si svuota. Adesso è tornata a circa 1.800, di cui un centinaio circa sono immigrati”. 

Il comune di Riace aderisce al Piano nazionale di accoglienza sin dal 2001 ed accogliemigranti che chiedono asilo politico provenienti dai centri di Lampedusa o di Crotone: “Si tratta soprattutto di Curdi, Eritrei, Nigeriani, Somali. Gente che scappa da guerre e carestie. Il nostro obiettivo era coniugare le aspettative del territorio e l’accoglienza”.

Venendo alla parte economica, lo stato italiano sostiene una spesa di circa 70-80 euro per mantenere un migrante in una delle sue strutture quali ad esempio i CPT mentre a Riace questo costo cende a 20 euro al giorno, con un guadagno per l'economia locale visto che al migrante viene data la possibilità di lavorare. 
 “Semplice: basta trovare loro una casa e un lavoro: chi viene qui in gran parte scappa dalle guerre e chiede solo di lavorare”. "Grazie ai migranti Riace è passata dalla rassegnazione per una morte civile, al riscatto economico".

Come spiega il sindaco, l'amministrazione non ha fatto altro che sfruttare al meglio le leggi nazionali, facendo in modo che facendo solidarietà si è anche ottenuto un ritorno per lo Stato.
"Dal secondo governo Berlusconi abbiamo aderito al bando del ministero dell'Interno per la presa in carico dei migranti in attesa dello status di rifugiato e per i migranti in via di identificazione, che a noi costano un terzo che nei centri come Lampedusa o Gradisca d'Isonzo".

"Mi stupisco delle reazioni di certi sindaci che vedono la presenza di migranti come un problema di ordine pubblico - chiude Lucano - dopo l'emergenza dei mesi passati, quando a Lampedusa continuavano a sbarcare ragazze e ragazzi giovani ma anche molti cadaveri, sono rimasto colpito negativamente dalla risposta della signora Letizia Moratti, che ha offerto da Milano ospitalità per 20 migranti. Forse anche in risposta a questo atteggiamento il consiglio comunale ha deciso di offrire ospitalità per duecento di loro".

Ma il ritorno economico vi è stato anche per la popolazione, grazie a queste attività circa 30 ragazzi del posto hanno un'occupazione e molti migranti extracomunitari hanno probabilità di lavorare, "creando un circolo economico virtuoso che ha portato a Riace anche parecchi turisti nordeuropei, incuriositi da questo borgo medievale ripopolato da Etiopi e afgani, il che ha permesso a bar e ristoranti di assumere altri giovani - sintetizza il sindaco - La nostra scelta di accogliere e integrare i migranti non dà solo lavoro ai nostri calabresi che si sono riadattati come docenti ai corsi d'inserimento professionale (dalla vetreria ai corsi di ricamo e cucito per le ragazze somale) ma attira anche un indotto che ha fatto rinascere un borgo che a inizio anni'70 contava il doppio di abitanti e che si era svuotato nel corso dell'ultima grande migrazione verso Genova Milano Torino".

Dopo Riace anche i comuni limitrofi di Stigliano e Caulonia si sono inseriti nella rete dei corsi di riqualificazione professionale e integrazione per migranti. "All'inizio c'era un po' di diffidenza per la prima ondata di migranti che aiutammo: erano un centinaio di curdi turchi sfuggiti all'esercito di Ankara o iracheni scappati dai gas di Saddam. In pochi mesi trovai loro un rifugio. L'idea non è originale: in centro c'erano decine di case abbandonate, lasciate da chi era emigrato non "in AltaItalia'', come diciamo qui, ma in un altro continente. Mi attaccai al telefono e i nostri concittadini emigrati in Venezuela, Argentina, Canada, Australia, non se la sentirono di negare un tetto a chi cercava la fortuna altrove, come avevano fatto loro decenni prima. Così è cominciato tutto”.

Dominico Lucano è una persona virtuosa e da calabrese riesco ad apprezzare ancora di più la sua opera. Purtroppo la gente come 'Mimmo dei Curdi' in questa Terra può dare fastidio a qualcuno (se non a molti). Quando nel 2009 fu confermata la candidatura nel giro di un mese o poco più vi furono diversi atti contro la sua persona: spari contro il ristorante 'Donna Rosa' dove si riuniscono gli amici della lista civica, che ne hanno infranto la vetrina; proiettili contro il portone del palazzo Jannò in centro che ospita la associazione progressista 'Città futura'. L'avvelenamento dei fidati compagni di Lucano, tre pastori di razza indefinita uccisi con polpette avvelenate.



Qui di seguito una serie di informazioni relative al 'Riace Village' ed alle attività dell' Associazione Città Futura.





Riace village



Riace Village è la prima idea dell'associazione, che dall'accoglienza dei profughi kurdi nell'estate del'98 capì l'importanza di far rivivere le case di Riace. Riace Village è l'idea centrale dell'associazione, è il mezzo atraverso il quale si diffondono le altre idee, è la benzina dentro al motore di tutte le attività, che si svolgono a Città futura, è la porta d'ingresso di questa città ideale. Riace Village è fondata sull'ospitalità e sull'accoglienza, per dare ai viaggiatori la possibilità di essere a casa, di incontrarsi e scambiarsi il contenuto del proprio bagaglio, di partecipare attivamente, di essere responsabili e partecipi alla costruzione di una Città futura.


Integrazione


Quando è nata l'Associazione, la prima cosa, che abbiamo pensato, è stata quella di dar vita ad un villaggio multiculturale, dove fosse facile parlare la stessa lingua, per poter tutti insieme andare avanti. Quando abbiamo cominciato, sentivamo il bisogno di forze, energie, che venissero da fuori, che rispolverassero vecchie usanze culturali della nostra terra, le più autentiche e positive, legate all'accoglienza e all'ospitalità. E' stato un cammino felice, aiutare la gente, che, in cerca di una possibilità di cambiamento, si è trovata a passare di qua, è stato un cammino fruttuso per l'Associazione, che è cresciuta e si è ingrandita grazie a loro. Oggi siamo un centro di accoglienza per rifugiati e richedenti asilo, un'alternativa alla logica assistenziale di favore malconcesso dei CPT e, credo, un tentativo di fermare l'espansione dell'odierna società globalizzata, che richiama gli uomini a spostarsi, per le differenze sociali ed economiche, sempre più grandi fra nord e sud. Oggi spero di poter parlare la stessa lingua di questi uomini, di poter scambiare con loro qualche parola, che non sia danaro, ma diritto e dignità.
                                                                                                       Domenico Lucano

Laboratori


 Ci sono voluti per me molti anni di esperienza, per apprendere quel poco di questa antica arte tramandata, che le donne più anziane conoscevano e custodivano, alcune volte anche gelosamente nei loro ricodi. Ci è voluta tanta pazienza, tanta speranza di creare qualcosa di buono, qualcosa di utile a tutti, un filo tra il passato e il presente. Oggi mi è di grande conforto vedere come i bambini del luogo siano contenti e felici di imparare quel poco che so.
                                                                                                                    Pina Sgrò



Taverna



 Deve il suo nome, "Donna Rosa", ad una venditrice ambulante di stracci, che in un epoca in cui si usava barattare inseme alle cose anche un po' di solidarietà, qui, sulla piazza di fronte alla taverna teneva il suo mercato, in dei momenti di spaccato del quotidiano rimasti indelebili per la memoria collettiva. Oggi tra i piatti della tradizione calabresi e i sapori e i profumi delle cucine del vicino Oriente nasce un leame a voler ricordare quelle solidarità umane che uniscono ancora i popoli e le loro culture.





 L'Associazione insieme con Lunaria, un ente no-profit che organizza a livello internazionale campi di lavoro giovanili, ogni anno propone nuove iniziative ai ragazzi volontari. Le attività dei campi si intrecciano e interagiscono con quelle dell'Associazione, nella raccolta della ginestra, nella raccolta delle olive e nell'organizzazione degli eventi estivi, in una sorta di sinergia, che coinvolge anche i giovani del paese, con l'idea di divulgare e far crescere insieme una città futura.




Gite



 l'Associazione propone da circa due anni alle scuole la visita alle attività e le iniziative che svolge a Riace. Per i ragazzi è un'occasione interessante per conoscere e interagire con una realtà di sviluppo alternativa, incentrata sui principi fondanti delle comunità contadine e pastorali del luogo ma proiettata verso il modello turistico etico-responsabile.





Festa della Ginestra



La festa è una rivisitazione storica del percorso lavorativo del filo di di ginestra, che rappresenta nella tradizione contadina del luogo una pietra miliare e un frammento della sua cultura. Ogni anno si tiene ai primi di luglio, quando per la pianta finisce il periodo di fioritura, si tiene la raccolta, la bollitura, la macerazione, la battitura e la cardatura dei fasci di ginestra per estrarne il filo, che è ideale per tappeti e coperte, che è resistente e duraturo. Ogni anno per celebrare questo evento l'Associazione invita molti tessitori provenienti da tutta Europa per partecipare, esporre i propri lavori, mostrare e condividere le proprie esperienze. Ogni anno si tiene una festa, che si rifà alle nostre radici e alle nostre tradizioni, tra balli e musica popolare, le fiere contadine e mercatini di piazza. Ogni anno si tiene una festa, che guarda avanti ma che è già tradizione. Pina Sgrò


Riac...cendi il Borgo



La festa "Riac...cendi il borgo" è una metafora, sulla quale abbiamo costruito tutta la nostra esperienza per contrastare il senso di rassegnazione e di oblio sociale che spesso domina i contesti e le realtà come Riace. L'inizio della festa comincia all'alba con i preparativi e la predisposizione degli stands degli artigiani, che ripropongono gli antichi mestieri; verso il tramonto iniziano i giochi della tradizione popolare a cui partecipano tutti i ragazzi del luogo; poi la sagra dei "vermituri" (lumache in letargo), un'antica ricetta dei giorni di festa di Riace, e via via la piazza diventa un incandescente scenario di partecipazione collettiva alle danze e ai ritmi incalzanti della tarantella e dei suoni dei cantanti popolari; sul finire nel cuore della notte la festa si conclude con una spettacolare esibizione del "ballo du camiddu", un'antica rievocazione tra fuochi, fumi e danze irrefrenabili delle antiche scorrerie saracene e turche. Il "ballo du camiddu" o anche detto "la danza del ciuccio" è la sagoma di un asinello colma di fuochi di artificio, sotto la quale danza un uomo al ritmo dei tamburi e della tarantella.