domenica 25 aprile 2010



La Cattura di Mussolini (Memorandum di Giovanni Dessy)

“Relazione sugli eventi che precedono e conducono alla cattura di Mussolini
Dopo il 22 aprile, in conseguenza degli eventi, il dr. Guastoni ed io abbiamo avuto l’impressione che la situazione generale nel Nord Italia poteva cambiare repentinamente da un momento all’altro in vista del fatto che il dott. Guastoni conosceva la situazione di Como e la sua provincia molto bene, noi subito abbiamo visto la possibilità di lavorare assieme per ottenere una più veloce soluzione della situazione locale che poteva essere anche veramente importante per l’esito generale considerando cosa rappresenta Como rispetto alla sede milanese del precedente governo repubblicano, e che tutte le forze fasciste sarebbero dovute andare a Como, insieme con i vecchi gerarchi.
Il dr. Guastoni perciò è andato in Svizzera per parlare con Mr. Jones e anche per chiedere un’autorizzazione scritta e regolare che ci permettesse di agire in nome del Consolato Americano, in quanto questa autorizzazione ci avrebbe facilitato molto.
Dopo avere ottenuto questa autorizzazione (allegato n. 1) siamo andati in Prefettura dove ci siamo incontrati col prefetto fascista Celio. Durante l’incontro siamo stati assicurati che l’autorità ci sarebbe stata garantita da una parte all’altra in tempi molto brevi senza problemi; noi siamo stati anche capaci di menzionare la situazione di M. e dei suoi uomini, e abbiamo avuto l’impressione che potevamo ottenere la loro resa se le seguenti condizioni fossero state accettate: salvare la vita di Mussolini e quella dei suoi uomini, come anche quella di tutta la sua famiglia e delle famiglie dei suoi uomini.
Avendo saputo che il prefetto Celio ha avuto l’opportunità di vedere o inviare qualcuno a vedere Mussolini che si trovava già in provincia di Como, il Dr. Guastoni si è messo in contatto col viceconsole americano per sapere il punto di vista degli Alleati. Su questo punto è stato accertato da questo incontro con il dr. Jones che non è stato possibile salvare la vita di Mussolini e degli uomini del suo seguito, cosa che dovrà essere verificata in una regolare corte, ma che la vita dei membri della sua famiglia deve essere salvata. Questa intenzione è stata comunicata a Pavolini attraverso il prefetto Celio.
Questa è apparsa come la migliore soluzione e perciò è stato consigliato che essi dovessero accettare. Se avessero accettato ciò avrebbe voluto dire anche che molte vite sarebbero state risparmiate e che le ostilità sarebbero cessate.
Nel frattempo la situazione a Como è diventata rapidamente complicata in quanto forze fasciste hanno chiesto via radio di avanzare verso Como e arrivando in gran numero in tutta la provincia – come era stato previsto – mentre forze partigiane erano arrivate in città e nei suoi dintorni. Perciò lì c’era stata da un lato l’assoluta necessità di controllare le forze fasciste che erano ancora padrone della situazione perché più numerose e avevano migliori armamenti, e dall’altra la necessità di agire immediatamente di modo che il Comitato di Liberazione Nazionale e le forze patriote potessero iniziare il loro lavoro e dominare la situazione a poco a poco.
Perciò il nostro compito, particolarmente difficile, è stato di servire da mediatori tra elementi fascisti da un lato e il Comitato di Liberazione dall’altro, per evitare almeno in città ogni incidente che potesse avere terribili conseguenze, in quanto abbiamo saputo che numerosi gruppi fascisti armati sono andati in direzione di Como. Nello stesso tempo è stato assolutamente necessario evitare che tutte le forze delle Brigate Nere che stavano per convergere a Como arrivassero nella regione (dintorni di Menaggio) scegliendola come linea di prima resistenza.
Il nostro programma era:
-a) ottenere che Mussolini e il suo seguito fosse liberato appena possibile, nelle mani delle Autorità perché ciascun centro di forza di resistenza in tal modo cessasse;
-b) ottenere la smobilitazione e il disarmo di tutte le forze fasciste concentrate a Como o appena arrivate qui, così prevenendo la formazione di forti gruppi di resistenza attorno a Mussolini.
Prima fase
Dalle ore 21 del 25 aprile alle 12,30 del 27 aprile
Mussolini arrivò improvvisamente a Como la sera del 25 aprile verso le 21 , proveniente da Milano con un largo seguito (circa 35 persone) scortato da due piccoli camion con due mitragliatrici. Arrivò tanto improvvisamente che il prefetto fascista di Como era da solo a Villa d’Este e non sentì nulla del suo arrivo.
Non appena arrivato Mussolini andò in Prefettura, dove il prefetto fascista si riunì con lui per circa un’ora.
Dopo avere fatto un pasto Mussolini ha chiesto chi di sua moglie e dei suoi figli fosse arrivato il giorno prima a Villa Mantero. Allora Mussolini ha avuto alcuni colloqui durante i quali ha esaminato la situazione e preso decisioni riguardanti le future mosse. Ha parlato con: Zerbino, Barracu, Mezzasoma, Buffarini, Gatti, Bombacci. Altri collaboratori (Tarchi, Liverani, ecc.) erano presenti durante taluni colloqui. Mussolini ha detto di essere convinto che ora, siccome la partita era perduta, non c’era nulla da fare tranne che opporre resistenza con le ultime forze fedeli e battersi fino alla fine nella provincia di Como.
Tali forze hanno avuto ordini, uscite da Milano verso varie province, di radunarsi a Como. E come per le forze tedesche Mussolini era convinto che esse volevano abbandonarlo, così egli ha sentito sulle trattative di pace che il generale Wolff aveva cominciato in Svizzera col Comando Alleato.
Due serie di opinioni sono state evidenti tra i suoi collaboratori:
1) provare di essere accettati dalla Svizzera, e in caso di rifiuto consegnarsi essi stessi al Console Americano. Questa soluzione è stata privilegiata da Buffarini, Mezzasoma, Liverani, dal prefetto fascista di Como.
2) Formare una roccaforte in alcune parti della provincia di Como e resistere fino all’ultimo, o infine chiedere i termini della pace.
Questa soluzione è stata privilegiata da Mussolini, Bombacci e Porta.
Alle 4 circa antimeridiane del 26, dopo un discorso di circa un’ora e mezza con Porta e Zerbino, egli è improvvisamente uscito dalla stanza dove si era sistemato prima e ha ordinato che la sua macchina fosse immediatamente pronta. E’ salito in macchina e ha detto ai presenti che stava andando a Menaggio. Porta e Zerbino sono saliti in macchina con lui.
La sua macchina ebbe come scorta una macchina militare tedesca, armata di mitragliatrice e quattro soldati tedeschi della sua guardia personale i quali avevano preceduto il Corpo Speciale Germanico assegnato a Mussolini e che era arrivato a Como verso le 9 ed era andato subito a Menaggio.
Istruzioni allora sono state date perché le forze fasciste che erano state consegnate a Como potessero essere mandate in esecuzione di quest’ordine nella zona di Menaggio. L’arrivo di Pavolini fu necessario. Egli stava arrivando con un gran numero di forze fasciste quella stessa mattina.
Subito dopo la partenza di Mussolini, sua moglie e due ragazzi minorenni, Anna Maria e Romano, sono stati inviati alla frontiera svizzera di Ponte Chiasso, per chiedere asilo in Svizzera. In caso di accettazione di questa famiglia, le famiglie di altri ministri li avrebbero seguito. Circa due ore dopo la partenza di Mussolini, tutti gli altri ministri hanno lasciato la loro strada per Menaggio. Dopo la partenza di Mussolini per Menaggio tutte le comunicazioni tra Como e Menaggio sono state interrotte.
Il 26, alle otto circa del mattino, Pavolini e le forze fasciste di Milano sono giunte a Como (circa 1500 uomini, 6 o 7 mezzi blindati e circa 100 macchine) e si sono installate a Como: più precisamente al Teatro sociale nella casa del Fascio e nelle baracche di due donne ausiliari.
Pavolini, dopo una sosta di mezz’ora, è partito per Menaggio, lasciando istruzioni che le truppe si sarebbero mosse gradualmente verso Menaggio. In ogni caso egli ha progettato di tornare a Como per dirigere il movimento.
Il pomeriggio del 26 dopo il ritorno di Pavolini, è stato stabilito, in accordo col CLN e per evitare un conflitto armato nella città [...] programmato per la mattina del 27, che le summenzionate truppe avrebbero lasciato Como senza ostacoli alle 6 in punto del 27. Tali accordi sono stati raggiunti dopo molti abboccamenti e discussioni tra me e il dr. Guastoni.
Mentre Pavolini alle 5 in punto del 27 partiva per Menaggio con tre carri armati del gruppo, il vicesegretario Romualdo (sic), comandante delle forze fasciste di Mantova, Motta, Colombo, comandante della Muti, il commissario federale di Milano e Costa ritornavano in Prefettura dove stazionava il Comando militare e il CLN e chiedevano un allungamento del tempo consentito per la partenza. Tale conversazione si è conclusa nell’accordo dell’allegato n. 2.
Mentre la principale parte dei mezzi corazzati del gruppo che era rimasta a Como dopo la partenza di Pavolini era in arrivo alla zona prestabilita, il resto della colonna fu fermato a Cernobbio dai Patrioti. Romualdi, Colombo e Motta furono convocati per consegnarsi immediatamente a Como. Tale soluzione fu accettata e la resa degli automezzi delle armi e delle truppe fu stabilito che riguardasse la località e la villa Olmo e furono diramate da me personalmente le seguenti istruzioni da Como.
Seconda fase
Dalle 12,30 circa del 27 alle 16 del 28
Ad uno speciale incontro del CLN di Como, durante il quale io ho prodotto una breve relazione sulla situazione che si era sviluppata e sulla possibilità di convincere Mussolini a rinunciare da solo ai suoi tentativi, assieme all’abbandono e al disarmo delle forze fasciste di Milano, io avevo avuto la missione di determinare la resa di Mussolini e la sua successiva consegna alle Autorità. Un genere di missione della quale allego una copia (n.3) che ha preso in considerazione l’opinione delle Autorità americane che si era espressa verso il dr. Guastoni.
In questa occasione io desidero menzionare il fatto che nella sera del 26, Vittorio Mussolini chiese al prefetto di Como Celio di disporre un incontro col dr. Guastoni e me per parlare a fondo dei termini di una eventuale resa del padre, i termini raggiunti durante questo discorso sono stati:
1) urgente chiamata di emissione verso la regione dove era stato creduto che Mussolini avesse avuto rifugio, per indurlo, anche a nome della sua famiglia ad arrendersi, incondizionatamente alle Autorità, in questo modo cessare ogni ultima resistenza in tutto il territorio italiano.
2) La missione è stata assegnata per decidere sulle modalità di resa. Mr. Vanni Teodorani stava a rappresentare la famiglia di Mussolini.
Per riuscire a raggiungere la località esatta dove Mussolini aveva trovato rifugio, che noi conoscevamo, e per indurlo alla resa, sono partito con una macchina alle 12,30 circa del 27 avendo con me Romualdi, Colombo, Teodorani.
Quando abbiamo raggiunto la località di Cadenabbia la macchina è stata fermata da un gruppo di partigiani di “Giustizia e Libertà”, brigata diretta personalmente dal comandante di brigata (Giovanni).
Il viaggio allora è stato interrotto perché sebbene io avessi mostrato il mio ordine di missione, un uomo ha riconosciuto Colombo e lo ha additato a tutti quelli che erano attorno a noi, provocando una situazione estremamente pericolosa che avrebbe potuto trasformarsi nella esecuzione di tutti noi, anche se il comandante della Brigata avendo capito l’importanza della nostra missione ha provato energicamente di permettere alla nostra missione di continuare. Quindi vedendo lo stato molto eccitato dell’animo della popolazione e degli uomini armati che egli non poteva sistemare con ordini perché la macchina continuasse il suo viaggio, Giovanni ha arrestato tutti gli occupanti della macchina e li ha portati in una prigione vicina e poi si è mosso verso S. Fedele Intelvi con un carro.
Quando siamo arrivati là, Giovanni ha telefonato a Como e la situazione era chiarita. Dopo siamo dovuti tornare a Como dato che non fu possibile portare a termine la missione per lo stato di sovreccitazione della popolazione della zona. Colombo allora li consegnò per mio tramite al Comando della brigata “Giustizia e Libertà”. Ho pensato che sarei stato in grado di portare a termine la missione il giorno seguente se fino ad allora non fossero sorti nuovi sviluppi. Comunque la notte abbiamo avuto la comunicazione ufficiale (alle 22,30) dell’arresto di Mussolini e di altri ex ufficiali (allegato n. 4) che avevano raggiunto il luogo alle ore 16.
Nelle prime ore del 28, il colonnello Valerio, del Comando militare generale di Milano e Mr. Guido, presentatosi egli stesso come appartenente al medesimo Comando Generale sono venuti in Prefettura con la missione di riportare gli uomini arrestati a Milano.
Il colonnello era accompagnato da una scorta armata di circa dieci uomini. Il CLN aveva fornito i mezzi di trasporto richiesti da Valerio (carro completamente coperto) assegnando una sua rappresentanza e me stesso per assistere al trasporto.
Prima di partire il col. Valerio ha detto in un modo che non permetteva alcuna discussione che egli desiderava avere con sé solo una rappresentanza del CLN e il maggiore De Angelis, comandante provinciale.
La spedizione dunque è partita senza di me.
Gli eventi successivi sono conosciuti, e in ogni caso ne farò un breve sommario, in quanto li conosco tramite testimoni oculari (Maggior De Angelis, Mr. Sforni, Mr. Tacchini, conducente della macchina che trasportò i summenzionati uomini a Dongo).
  1. Al loro arrivo a Dongo Mj. De Angelis e Sforni sono stati messi in prigione da dove essi sono stati in grado di assistere all’esecuzione, attraverso le sbarre della prigione, degli ex ufficiali arrestati nella zona di Dongo, eccetto Mussolini e la Petacci.
  1. Dopo circa un’ora e mezza dalla partenza dei carri che trasportavano i corpi dei morti, due rappresentanti sono stati liberati e sono stati in grado di ritornare.
La rappresentanza menzionata è in possesso di una dichiarazione del comando della 52^ Brigata, la Brigata Garibaldi, che esclude ogni possibile responsabilità degli avvenimenti che possono essere attribuiti a loro.
  1. Mussolini e la Petacci non sembra siano stati colpiti da spari in Dongo, ma sembra che un carro sia stato visto partire per località sconosciuta (Tre-mezzo? nda: sic) prima della esecuzione della piazza di Dongo e ritornato dopo circa un’ora.
  1. L’esecuzione si è svolta nel seguente modo:
a) i prigionieri sono stati condotti nella piazza del municipio e sistemati con la faccia verso il lago;
b) un monaco ha dato loro l’assoluzione in extremis;
c) Bombacci ha chiesto ad alta voce di salvare almeno Barracu (Medaglia d’oro) dichiarando insistentemente verso il pubblico che egli aveva provato sempre ad aiutare le classi lavoratrici.
d) Dopo gli ultimi preparativi i prigionieri hanno gridato “Viva l’Italia” e lì sono seguiti i primi colpi di mitragliatrice ordinati dal colonnello probabilmente del Comando militare generale.
I colpi si sono susseguiti per circa dieci minuti accompagnati dalle urla della folla. Alcuni feriti da colpi di rimbalzo si trovavano tra la folla.
e) Zerbino e un altro prigioniero in uniforme di ufficiale dell’Aeronautica morì fumando una sigaretta.
f) Petacci (nda: ci si riferisce evidentemente a Marcello Petacci, fratello di Claretta, che fu presto identificato e inserito nel gruppo dei sedici fascisti da giustiziare) che, attraverso una richiesta dei soli prigionieri non fu colpita da spari con loro, fece ritorno al Municipio e fu portata fuori nella piazza dopo l’esecuzione del primo gruppo. Quando egli è venuto fuori dal Municipio, ha provato a scappare ed allora è stato immediatamente ferito dai colpi.
Terza fase
Sul 27 e parte della mattina del 28
Nelle prime ore del 27 aprile fu segnalata la presenza di una colonna delle Brigate Nere. Questa colonna dopo avere controllato lungo il percorso della strada Lecco-Como tutti i gruppi fascisti isolati, entrarono nella città di Como.
La colonna era formata da circa 3000 uomini completamente bene armati (cannoni, molte mitragliatrici 20mm), trasportati tutti da oltre 200 automezzi.
Questa colonna, dopo aver combattuto a suo modo attraverso varie resistenze incontrate lungo la strada (durante i combattimenti qui ci sono stati dei feriti gravi da entrambe le parti) si è arrestata nella periferia della città e sembrava che decidesse di occupare la città e poi di continuare verso la zona dove Mussolini aveva trovato rifugio.
In vista delle differenze di proporzioni tra le forze patriottiche nella città e quelle delle Brigate Nere, fu subito deciso di venire a un accordo in modo che si prevenisse il loro ingresso nella città e ove possibile il loro disarmo.
L’accordo fu veramente difficile perché il comando delle forze fasciste (Melchiorri, Vecchini, Gallarini, Facduel e un maggiore dell’esercito repubblicano, ecc.) conscio della loro superiorità di uomini e armi, pensò di realizzare i loro piani o almeno prendere un’assicurazione che le loro vite e ciò che era dei loro uomini fosse salvato.
Dopo varie proposte e argomenti da parte del dr. Guastoni aiutato dal Prefetto di Como e dagli altri membri del CLN, in serata furono raggiunti i seguenti accordi:
1) La colonna sarebbe entrata in città gradualmente: un carro per volta ciascuno scortato da forze Patriote: all’arrivo degli uomini alla Casa del Fascio essi avrebbero consegnato le loro armi e sarebbero stati liberi di lasciare Como e di andare a casa.
Dopo di ciò fu possibile disarmare gli uomini alle porte della città., grazie all’aiuto dell’ex questore Bozzoli e dell’attuale questore Grassi.
2) Per potere convincere i capi di ciascuno gruppo a ordinare di consegnarsi, andava resa loro una formale dichiarazione che essi e i loro uomini avrebbero avute protette le loro vite al momento dell’uscita dalla città, ciò era stato naturalmente negli accordi con il CLN e potendo revocare, le autorità di altre località, qualche decisione che potesse riguardarli.
La notte del 27 e durante il mattino seguente Gallarini rimase in prefettura per completare il disarmo come convenuto sopra. La mattina del 28 anche Gallarini fu accompagnato dalla prefettura con un permesso di lasciare la città.
L’operazione di resa fu portata a termine con grande calma, senza incidenti.
L’operazione è stata particolarmente difficile per i seguenti motivi:
a) Lo stato d’animo di molti uomini delle Brigate Nere che avevano camminato due giorni per raggiungere Como, per combattere lo loro battaglia;
b) la necessità di cibare gli uomini che erano stati condotti a credere che sarebbero stati in grado di trovare cibo e riposo solo se avessero occupato Como;
c) la presenza nella colonna di un certo numero di uomini pronti a combattere fino all’ultimo e che non intendevano deporre le loro armi;
d) in ultimo i loro dubbi, che avevano manifestato apertamente, sulle assicurazioni che il dr. Guastoni, io e i membri del CLN avevamo dato loro sulla loro incolumità.
La soluzione non poteva essere migliore e non poteva essere risolta in un modo migliore.
Da quanto abbiamo detto sopra è chiaro che se non ci fossero state impreviste difficoltà e imprevisti eventi che seguirono le nostre direttive il risultato finale sarebbe stato quello voluto dalle Autorità Alleate e dal CLN.
Tutte le negoziazioni di argomento militare che sono state risolte da noi durante i giorni 26,27 e 28 sono state riconosciute dal Lit.Cl. Sardagna del Comando Generale, spedite dal generale Cadorna, e arrivato a Como la mattina del 27.
Maggio 1, 1945
Il capitano di Fregata
Firmato Dessy Giovanni”

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